NEL NOME DEL PADRE – Forgotten Children of War, Ajna Jusić

A trent’anni dall’inizio della guerra in Bosnia-Erzegovina, abbiamo incontrato Ajna Jusić, che ha raccontato la sua storia e il suo impegno nell’associazione Forgotten Children of War.

Il conflitto degli anni Novanta ha provocato in Bosnia-Erzegovina circa 100 mila morti, un genocidio, e prodotto nuove categorie di crimini contro l’umanità, come le pulizie etniche e lo stupro etnico.

Il tema degli stupri etnici – nonostante il Tribunale per i Crimini di guerra in ex Jugoslavia, per la prima volta nella storia, li abbia riconosciuti come crimini contro l’umanità – ha trovato pochissimo spazio nella narrativa pubblica. Ancora meno spazio hanno trovato le storie dei bambini nati da queste violenze di massa.

La storia di Ajna è una di queste. Durante la guerra, sono state tra le 20 e le 50 mila le persone che hanno subìto abusi o violenze sessuali, tra donne, ragazze e uomini. Lo stupro etnico, sia all’interno dello stesso gruppo etnico-nazionale (patriarcato di guerra) che per mano di un gruppo etnico-nazionale diverso, è stato una vera e propria arma di guerra. Ha causato sofferenze, disagio ed esclusione sociale, e ha provocato danni fisici e psichici, lasciando traumi molto profondi.

Tutt’ora la società bosniaca fatica a dare spazio e includere nella narrativa pubblica le storie delle persone che hanno subito queste violenze e dei bambini nati a causa della guerra. E faticava ancora di più nell’immediato post-conflitto, quando queste violenze non sono diventate traumi di guerra e non sono state considerate un problema sociale e collettivo.  Solo recentemente la Federazione di Bosnia-Erzegovina e la Repubblica Srpska hanno riconosciuto lo status di vittime di guerra alle donne e agli uomini che hanno subito violenze e abusi sessuali nel corso del conflitto.  Diversamente da quanto successo per i figli dei combattenti caduti durante la guerra, subito riconosciuti e tutelati dalla legge.

Ajna e la madre hanno subito una stigmatizzazione e un’esclusione sociale da parte della loro comunità. Fino ai 15 anni Ajna ha subito bullismo e discriminazioni perché non aveva un padre, figura fondamentale nella società bosniaca anche per via del patronimico, obbligatorio nei documenti d’identità. Proprio a seguito di un appello in classe, ha deciso che voleva sapere qualcosa di più delle sue origini. E lo ha scoperto, in casa, trovando le testimonianze delle violenze deposte dalla madre al tribunale bosniaco. Con l’aiuto della terapia si è aperto un faticoso percorso di dialogo tra le due, che ha portato Ajna a fondare l’associazione “Forgotten Children of War” nel 2015.

Ajna si impegna nell’attivismo per far emergere la loro storia attraverso il racconto, garantirle un posto all’interno della società e recuperare la dignità delle persone che hanno subito questo tipo di destino. Sono quattro le categorie dei bambini nati a causa della guerra che si ritrovano nell’associazione: i bambini nati dagli stupri etnici contro un altro gruppo o all’interno del proprio gruppo; i cosiddetti “peace keeping babies” ossia i figli nati per rapporti sessuali consenzienti o violenti con militari mandati in missione in Bosnia-Erzegovina durante la guerra, oppure i figli degli operatori umanitari internazionali, sia per stupri e violenze che per relazioni consenzienti, e i figli nati da matrimoni forzati.

Tutti i membri dell’associazione hanno obiettivi comuni.  Il primo è quello di ridare dignità alle madri, perché la guerra è stata combattuta anche e direttamente sui loro corpi. Il corpo delle donne è diventato un terreno di guerra e loro hanno vissuto un dolore impressionante ma sono state anche capaci, poi, di interrompere la catena di odio. Il secondo obbiettivo dell’associazione è quello di raggiungere un riconoscimento giuridico del loro status in quanto figli nati a causa della guerra. A livello internazionale, invece, il lavoro si concentra sui “peace keeping babies”, per il riconoscimento della paternità da parte degli operatori internazionali durante la guerra.

Un ultimo aspetto fondamentale è il racconto pubblico di queste storie, perché diventino parte della società. Attraverso l’arte, che permette di comunicare e attiva un legame empatico e emotivo, “Forgotten Children of War” diffonde le sue storie per richiamare alla responsabilità la società del tempo, che ha deciso di ignorare questa parte della sua comunità.

L’incontro Nel nome del padre si inserisce nell’ambito delle iniziative di Bolzano Città della Memoria 2022.

di Ana Andros

Argomenti

#Diritti #Memoria

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