ULTIMA FERMATA SREBRENICA 2022 – Ecco come è andata!

Dopo un paio d’anni di fermo a causa della pandemia siamo tornati in Bosnia-Erzegovina per Ultima fermata Srebrenica , un progetto più che mai necessario per riavvolgere il nastro della storia e fermarsi ad analizzare le cause profonde del come si è potuti arrivare a un altro genocidio in Europa dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Necessario per colmare quel vuoto di discussione pubblica sulla (mancata) “lezione bosniaca” – specialmente oggi, alla luce della guerra russo-ucraina in corso – e tematizzare, nel dialogo trans-generazionale, i principi e strumenti della tutela dei diritti umani, della prevenzione dei genocidi, della giustizia e degli organismi internazionali.

Sarajevo, la capitale bosniaco-erzegovese, è stata la nostra prima tappa. Luogo significativo nella storia europea e mondiale, ci ha accolti carica di storie importanti da raccontare. Le nostre giornate sono state dense: ci siamo mossi nel tempo e nello spazio, e tra le vie della città abbiamo scoperto il luogo dell’attentato a Franz Ferdinand, erede al trono asburgico, casus belli che ha provocato la prima guerra mondiale, proseguendo poi fino alla Viječnica  – palazzo municipale durante il protettorato e dominazione austroungarica, poi biblioteca nazionale incendiata durante l’assedio degli anni Novanta – fino al centro storico ottomano, la Baščaršija, che prosegue, con uno stacco architettonico-temporale, nei viali di epoca austroungarica incrociando il quartiere e la sinagoga ebraica da una parte, e le cattedrali cattolica e ortodossa dall’altra. Sarajevo Meeting of Cultures, ricorda una rosa dei venti all’incrocio tra i diversi strati di storia che ci racconta la città. Però, «nel “progetto estetico” dei generali non potevano stare, uno accanto all’altro, qualcosa di turco, austroungarico e jugoslavo, islamico, cattolico e comunista» [cit. Đevad Karahasan, Tagebuch del Übersiedlung].

A Sarajevo le tracce dell’assedio degli anni Novanta sono ancora visibili nella vita quotidiana e nei luoghi della memoria. Abbiamo concluso la nostra prima giornata con la visita al War Childhood Museum , incredibile luogo di memoria che racconta la tragedia della guerra attraverso i ricordi dei bambini. Nelle successive due giornate sarajevesi siamo entrati sempre di più nella narrazione e analisi della dissoluzione violenta della ex-Jugoslavia e dell’assedio di Sarajevo. Abbiamo visitato il museo del Tunnel di Sarajevo  e il Museo di Storia e incontrato Ajna Jusić, nata da uno stupro di guerra, fondatrice dell’associazione Forgotten Children of War, con la quale abbiamo tematizzato il complesso tema degli stupri etnici di massa durante la guerra in Bosnia-Erzegovina.

Il nostro viaggio di formazione è proseguito verso Srebrenica. Abbiamo iniziato il percorso sui luoghi della storia accompagnati dall’applicazione Srebrenica 2.0 , un percorso di memoria digitale, sviluppato con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e con la collaborazione del Memoriale di Srebrenica, ci aiuta a ripercorrere i luoghi significativi della storia della città dall’aprile del 1992 al luglio 1995. Srebrenica ci lascia con il fiato sospeso, divisa tra vita – di chi continua ad andare avanti, ricucendo le memorie come le associazioni Sara Srebrenica e Adopt Srebrenica  – e dolore, che ci travolge visitando il cimitero di Potočari.

Abbiamo concluso il nostro viaggio a Tuzla, dove ad aspettarci c’erano Dragana Vučetić, che ci ha accompagnato nel racconto del lavoro del ICMP-PIP, il centro di identificazione istituito per trovare e identificare le vittime del genocidio di Srebrenica, e Zijo Ribić, sopravvissuto allo sterminio del suo villaggio, che ha incontrato gli autori del massacro e li ha perdonati. Due storie diverse che si intrecciano nel senso condiviso e profondo della cura e del rispetto per l’altro e per chi non c’è più. Il filo rosso della resistenza che abbiamo ritrovato visitando la città ci ha accompagnati nel nostro momento di riflessione finale, fino a casa.

Di seguito il diario di viaggio

GIORNO 1

“When you pushed this swing, you gave it the kinetic energy that became potential energy as the swing reached its highest point…”

Il War Childhood Museum è il punto zero del nostro viaggio in Bosnia Erzegovina. Lo scopo del museo è cambiare la prospettiva del racconto della guerra. Eindrucksvoll, prägend und lehrreich – mit diesen drei Worten lässt sich das Museum “War Childhood Museum” beschreiben. Ad accoglierci, infatti, ci sono vestiti, fotografie e oggetti personali di quelli che nel conflitto erano ancora bambini.  Kinder, die ihrer Kindheit beraubt wurden, deren Häuser zerstört wurden und der Hoffnung darauf basierte, den Krieg mit ihren Liebsten zu überleben. Grazie a certificati per l’acquisto di caramelle e bambole nascoste in una scatola entriamo nel vivo della storia che stiamo per approfondire. Vita, libertà e sicurezza sono alla base dei diritti fondamentali di ciascuno di noi, eppure il museo ne testimonia la fragilità. L’ingenuità dei bambini ci dimostra però, insieme a un velo di malinconia, la speranza. Allein in Bosnien forderte dieser Krieg 100.000 Todesopfer, darunter in etwa 1000 Kinder.

GIORNO 2

“Un dialogo in quanto tale implica un coinvolgimento ed una trasformazione da entrambe le parti, altrimenti è un monologo”

Adnan arriva dopo cena, ci saluta e si scusa. Avremmo dovuto incontrarlo nel pomeriggio, sul monte Trebevic, dove combatté all’età di 19 anni, tra il 1992 e il 1995 durante l’assedio di Sarajevo da parte dell’armata popolare Jugoslava (serbizzata). Oggi è una guida turistica e dalla fine della guerra si è impegnato in vari percorsi di riconciliazione post conflitto. Non si è preparato un discorso. Ci parla della sua storia, condivide riflessioni e pensieri. Colpisce la comprensione e il rispetto verso chi come lui si è trovato catapultato in una situazione di vita o di morte. La chiave del dialogo col nemico? L’empatia. “Stavamo vivendo tutti la stessa situazione”. Ma parliamo anche del presente. Ci confida in maniera molto diretta la sua preoccupazione: esser vittima di un’ideologia, se non si hanno gli strumenti ed una chiara chiave di lettura della storia passata, è molto facile. Alla fine, ci ringrazia, noi lo ringraziamo a nostra volta, e si accende una sigaretta. -“Com’è riuscita a rinascere la città dopo la guerra secondo te?” -“Non l’ha fatto. La città non è mai morta.”

GIORNO 3

“The cheapest weapon with the hardest consequences”

Dice così Ajna Jusić, nel pomeriggio del nostro ultimo giorno a Sarajevo. Ci ha raggiunti in hotel per raccontarci la sua storia personale e l’impegno che ne deriva: l’Associazione Zaboravljena djeca rata / Forgotten Children of War Association. Vergewaltigung dient schon seit geraumer Zeit als Kriegswaffe; somit auch in Bosnien, wo Massenvergewaltigung als Kriegswaffe praktiziert wurde. Durante la guerra in Bosnia il corpo delle donne è stato un campo di battaglia. Nonostante i pesanti traumi psichici e fisici e la stigmatizzazione subita, le donne sono state coloro che hanno rotto la catena d’odio e di violenza. Ajna, insieme alla sua associazione, si occupa di restituire dignità alle donne e ai figli nati a causa della guerra.  Attraverso un’importante azione di sostegno e supporto diffusi, vuole ragionare con la società bosniaca rispetto al passato e al presente. Dopo aver calorosamente salutato Ajna, ci siamo presi un momento per confrontarci su quanto abbiamo visto e vissuto in questi primi giorni di viaggio. Ne sono usciti pensieri e ragionamenti intensi, che porteremo nel prosieguo del nostro viaggio.

GIORNO 4

Lungo la strada che ci porta in città ci sono alberi verdi, rossi e gialli a farci compagnia. C’è chi decide di godersi il paesaggio e chi riposa.

Veniamo accolti a Srebrenica da un cielo nuvoloso, e, prima di conoscere le nostre famiglie ospitanti, guidati dalla nuova applicazione Srebrenica 2.0. riusciamo ad immaginare in modo nuovo i luoghi della storia, per capire cosa è successo a Srebrenica dal 1992 al 1995. La visita al Memoriale di Srebrenica è impegnativa. Le domande sono tante, ma una cosa ci appare chiara: la vasta distesa di lapidi bianche che troviamo una volta entrati al cimitero dedicato alle vittime del genocidio. Jeder Grabstein trägt einen Namen. Einen Namen, der einer Person gehörte, die im Massaker von Srebrenica getötet wurde. Über 8.000 Menschen, die ihr Leben verloren und deren Geschichten und Erlebnisse ebenfalls verloren gingen, wurden hier in der Gedenkstätte von Srebrenica begraben. Tausend weitere werden noch immer vermisst. Der Genozid in Srebrenica wird häufig als das schwerste Kriegsverbrechen in Europa seit dem Ende des Zweiten Weltkriegs bezeichnet.

GIORNO 5

Come fa un essere umano a sradicare un suo simile?

Muhamed prova a raccontarci la catena cinetica di scelte che porta all’eliminazione sistematica.

Parla del periodo in cui tranquillità e pace convivevano armoniosamente con la vita. Ci strappa timidi sorrisi. Prosegue. Parla di primavera, momento in cui si è soliti ammirare la fioritura degli alberi… ma a Osmače con la primavera sboccia la guerra. Tränen fließen. Sei es bei ihm als auch bei uns Zuhörenden. Seine Geschichte berührt uns im Herzen und hinterlässt Spuren. Spuren, die wir als Erinnerungen in unserem Gehirn abspeichern. Sguardi provati. Gambe rigide.

Seguiamo Muhamed verso casa sua, dove ci accoglie con calore sua madre. Ritroviamo piano piano la serenità. Ci sentiamo a casa. In der Sonne sitzend, Vitamin-D tankend spüren wir nochmals mehr, wie viel Herzlichkeit und Menschlichkeit diese Menschen ausstrahlen. Menschen, die ihre Liebsten im Krieg verloren. Persone che però hanno guardato al tramonto come se fosse un’alba.

GIORNO 6

“Unless an external force acts upon the swing, it will remain in motion infinitely.”

 

L’ultima tappa del nostro viaggio apre in noi uno spiraglio di speranza. Il pesante sapore di morte che ci impasta la bocca durante la visita all’ICMP, la Commissione Internazionale per le Persone Scomparse di Tuzla, diventa, durante la condivisione delle sensazioni di questa intensa settimana, anche un momento di serenità. Ammiriamo il delicato e prezioso lavoro di chi, con ostinata cura, si occupa di chiudere il cerchio di dolore dei famigliari delle vittime del genocidio. Una pace che sta ritrovando anche Zijo Ribić, nel mettere insieme i pezzi della sua vita e della sua famiglia senza odio. Tuzla germoglia ad ogni passo, mostrandoci il lato resiliente e unito della complessa storia che stiamo approfondendo. Germoglia anche Jasenovac, un luogo che pulsa di atrocità e vita, grazie al lavoro sul paesaggio memoriale di Bogdanović, di cui il fiore di loto è simbolo più forte.

Tra le numerose domande che mettiamo nella nostra valigia interiore trovano posto anche la cura e la speranza. Doni che abbiamo raccolto dai testimoni incontrati in questi giorni, che lasceremo depositare nella nostra vita. Siamo pronti per ripartire.

“…because life lasts longer than us and our experiences.”

 

di Andrea Rizza Goldstein

Argomenti

#Memoria

Condividi