GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE FASCE BIANCHE
“NON CI STO!” , disse Emir Hodžić, che nel 2012 scese in piazza e si legò al braccio una fascia bianca in segno di protesta per il silenzio delle autorità di Prijedor ma soprattutto per ricordare quello che era accaduto 20 anni prima, nel 1992, quando un giorno, nella sua città, sull’amore prevalse l’odio.
Nel maggio di quell’anno a Prijedor iniziò la programmazione delle pulizie etniche che annunciarono il lento genocidio che sarebbe poi avvenuto in Bosnia Erzegovina, quello per cui il paese ha iniziato ad essere sotto i riflettori dell’Occidente ma che, nonostante ciò, è culminato nel luglio del 1995 con il massacro di Srebrenica. In maggio, le autoproclamate autorità obbligarono i cittadini non-serbi a mettere un lenzuolo bianco alle finestre di casa e ad indossare una fascia bianca al braccio, per essere riconoscibili. Questa pratica permise l’inizio della strage: secondo le stime, 53.000 persone della zona furono vittime di persecuzione e deportazione in lager; gli uccisi furono 3.176, tra cui 102 bambini.
Nessuno si avvicinò a Emir nel 2012, ma con il passare del tempo il suo essere solo diventò gruppo e poi folla. E la folla invase le città d’Europa, ogni 31 maggio, diventato la Giornata Internazionale delle Fasce Bianche.
Ma cosa raccontano le fasce? Raccontano di massacri impuniti, di violenze scordate, di responsabilità mai ammesse. Raccontano una storia che si ripete, proprio ora, sotto i nostri sguardi, nel nostro continente e non solo: in Ucraina, dove si sta annientando la storia e la cultura di un popolo, di persone; in Kosovo dove, tuttora il suono della pace è ancora a un volume troppo basso; nei paesi più lontani, come Yemen, Libia o Siria, dove tuttora risuonano le bombe. Raccontano di quanto la pace sia la cosa più fragile che abbiamo intorno a noi e la cosa che più necessita fatica per essere costruita.
E noi oggi commemoriamo la Giornata Internazionale delle Fasce Bianche perché la guerra interminabile della Bosnia Erzegovina è parte integrante di questo continente, così come quello che succede ora in Ucraina. Lo facciamo per ribadire che la pace va costruita rispettando i diritti di ogni individuo, consentendogli di vivere liberamente con le proprie idee, ambizioni, aspirazioni, paure e felicità. Lo facciamo perché la libertà degli altri è la nostra libertà.
Lo facciamo perché ci riguarda!
Nel video, un messaggio da Edin Ramulić, promotore dell’iniziativa della Giornata Internazionale delle Fasce Bianche a Prijedor, nonché vittima diretta dell’odio che prevalse nella città negli anni ’90. Imprigionato a 22 anni dalle autorità serbe, perse il padre e il fratello che furono prima torturati e poi uccisi.